Iraq 2015: il futuro perduto di città millenarie Futuro del passato

ISIS. Iraq 2015: il futuro perduto di città millenarie

Archeologia Viva n. 172 – luglio/agosto 2015
pp. 74-77

di Paolo Brusasco

I terroristi dello Stato Islamico hanno dichiarato guerra all’Occidente blasfemo e in questo quadro ideologico rientrano le distruzioni metodiche delle testimonianze delle civiltà preislamiche riportate in luce in centocinquant’anni di ricerche archeologiche in Mesopotamia condotte in gran parte dagli Europei

Per chi come me ha avuto la fortuna di scavare i siti assiro-babilonesi dell’Iraq, assistere alla disintegrazione delle antiche capitali d’Assiria, di centri rinomati dell’ellenismo come Hatra, o di monasteri cristiani straordinari come Mar Behnam (IV sec.) non può che suscitare una profonda tristezza.

Tuttavia, desidero iniziare questo racconto della distruzione della memoria con una nota positiva: il 9 aprile 2015, l’iracheno State Board of Antiquities and Heritage e il World Monuments Fund hanno presentato alle autorità di Baghdad il Piano di gestione programmatica di tutela e riabilitazione della città di Babilonia, che permetterà di inserire la capitale di Hammurabi (1792-1750 a.C.) e Nabucodonosor II (604-562 a.C.) nella lista dei siti Unesco.

Negazione dell’eredità culturale in nome dell’unica verità religiosa

Ma quella appena riportata è una nota ottimistica che purtroppo non mitiga il bilancio pesantissimo delle distruzioni e dei saccheggi delle capitali assire di Ninive, Nimrud, e probabilmente anche di Khorsabad e Assur.

Nello stillicidio di notizie e video pubblicati dallo Stato Islamico tra la fine di febbraio e aprile 2015, si sintetizzano l’inizio della fine dell’archeologia nel nord della Mesopotamia e un messaggio che aleggia in maniera sin troppo evidente negli ultimi video dell’IS sulle distruzioni di Hatra e Nimrud: «colpiremo il vostro patrimonio culturale, i vostri idoli, ovunque si trovino, e regneremo sulle vostre terre…».

L’attacco è contro l’Occidente che, con il suo “orientalismo”, ha fatto della Mesopotamia e dei suoi idoli blasfemi la “culla della propria civiltà”, per di più cercando “di inculcare nei musulmani l’ammirazione e il senso d’identità nelle culture delle civiltà estinte”, allontanandoli dal messaggio monoteistico dei profeti Abramo e Muhammad.

Una colpa che merita la punizione esemplare di far esplodere i resti del passato, simboli tangibili del shirk, il “politeismo” dei miscredenti, “non degni di essere ammirati in musei e siti archeologici”.

Ma l’oracolo contro le nazioni pagane e l’idolatria pronunciato nel Corano e citato dall’IS – «Quante generazioni sterminammo dopo Noè» (Sura XVII, 17) – è segno sin troppo evidente di propaganda, nonché di una riproposizione fedele degli anatemi veterotestamentari e del Nuovo Testamento: si veda Geremia (Ger 46-51) e l’Apocalisse giovannea (Ap 18). […]