Archeologia Viva n. 172 – luglio/agosto 2015
pp. 14-26
di Massimo Osanna e Altri
Dalla scoperta nel 1748 sotto il regno dei Borboni ai bombardamenti del secondo conflitto mondiale Pompei…
è la cartina di tornasole del modo di porsi dell’uomo contemporaneo verso il mondo antico e in particolare delle politiche culturali dei governi che in duecento anni si sono succeduti nella Penisola
Una mostra ripercorre ora la complessa vicenda “moderna” della città a partire dagli scavi settecenteschi
Meta predestinata del moderno viaggiare, l’Italia ha cristallizzato dal Settecento le utopie di tutti coloro, artisti, intellettuali, eruditi o connaisseurs che affascinati dallo svolgersi della storia videro in essa la terra promessa dell’arte. Gli adepti del Grand Tour avevano compreso come nelle assolate terre del Bel Paese l’evocazione di un mito si unisce alla memoria dell’Antico, rinnovando, nella comune emozione della scoperta, il legame fra natura e storia. Passato e presente coesistono in un paese impregnato di poesia che non si può visitare senza entusiasmo né lasciare senza rimpianti.
Entusiasmi e aspettative per le città vesuviane sepolte
Sin dalla loro fortuita scoperta, le metropoli sepolte di Ercolano e Pompei hanno attratto viaggiatori e curiosi, rivoluzionando non solo la scienza antiquaria, ma anche la cultura, l’arte e la vita dei moderni. Già a proposito di Ercolano, Charles de Brosses, erudito appassionato di archeologia e futuro presidente del Parlamento di Borgogna, reduce da un viaggio in Italia compiuto nel 1739-1740, aveva sottolineato quanto straordinario fosse il ritrovamento globale di un centro urbano, mentre quasi contemporaneamente Scipione Maffei, raffinato intellettuale veneto, fondatore del museo epigrafico che porta il suo nome a Verona, preconizzava nel 1747 il folgorante richiamo che l’antica città dissepolta avrebbe costituito per l’Europa: «o qual grande ventura de’ nostri giorni è mai, che si discopra non uno ed altro antico monumento, ma una Città…».
Con uno sguardo singolarmente attento alla conservazione dei reperti archeologici, Maffei sottolinea quanto sia importante il rigore metodologico dello scavo: «… desiderabile soprattutto è, che si risolvano a lavorare per di sopra, levando e trasportando quel monte di cenere… in questo modo la spenta città si farà rinascere, e dopo mille e settecent’anni rivedere il sole: con grandissimo beneficio del paese correrà a Napoli tutta l’Europa erudita…».
Sigillate dalla lava e dai lapilli, le antiche città e la loro ricca messe di reperti e di affreschi, dagli inediti accordi cromatici, accesi e perfettamente conservati, restituivano con immediatezza il mondo che le aveva create; le case sembravano rianimarsi e raccontare la quotidianità degli uomini che le avevano abitate, i loro miti, i loro eroi, il loro credo.
Tutta una vita, brulicante, troncata dall’implacabile falce dell’eruzione e della morte, sotto l’ombra di uno scenario tanto familiare quanto terribile: il Vesuvio. […]