Palmira. Quei muti volti… parlanti Archeologia e cronaca

Palmira

Archeologia Viva n. 187 – gennaio/febbraio 2018
pp. 18-29

di Gioia Zenoni;
introduzione di Antonio Zanardi Landi e Cristiano Tiussi;
schede di Luca Caburlotto, Lorenzo Cigaina, Fulvia Ciliberto, Daniele Morandi Bonacossi, Marta Novello e Monika Verzár

I volti degli abitanti di Palmira restituitici dalle necropoli della città sono stati oggetto di una mostra nell’ambito del ciclo “Archeologia ferita” con cui la Fondazione Aquileia e il Museo Archeologico Nazionale ogni anno richiamano l’attenzione su musei e aree archeologiche colpiti dalle guerre in atto

Palmira è il simbolo delle crudeltà e delle distruzioni consumate finora nel Vicino Oriente e l’articolo che pubblichiamo – con un suggestivo riferimento alla città romana dell’Alto Adriatico che ne ha riproposto la memoria – è un riconoscimento alla sua storia e al suo valore monumentale in questa fase di crisi gravissima

Città delle palme, metropoli carovaniera, sposa del deserto, la Venezia delle sabbie… numerosi sono gli epiteti con cui Palmira viene evocata.

Sorta in un’oasi della steppa siriana a metà strada fra il Mediterraneo e l’Eufrate, 150 km a nord-est di Damasco, la città deve la sua fortuna alla sorgente che alimenta i giardini di palme da datteri – richiamate dal nome greco Palmyra e dal più antico Tadmor – e al peculiare rapporto che gli abitanti sono riusciti a sviluppare con l’ambiente desertico.

Sono questi i due fattori che hanno reso Palmira, sin dagli albori della storia, il punto di appoggio ideale per le carovane lungo una delle rotte commerciali che collegavano Oriente e Occidente, note nel loro insieme come Via della Seta.

Palmira è anche una città “dalla miriade di volti”. Questa è, forse, la definizione che oggi sembra esprimerne al meglio la natura poliedrica.

E i suoi volti – da quelli dei rilievi funerari, messi in bella mostra nei musei di tutto il mondo, a quelli dei suoi ultimi attuali abitanti, ugualmente dispersi in cerca di un luogo in cui vivere in pace – sono l’espressione più immediata di questo rapporto.

Sull’originalità di Palmira punta l’attenzione lo storico francese Paul Veyne nel suo saggio Palmyre. L’irremplaçable trésor, affermando che essa non assomiglia a nessun’altra città, attraversata com’è da un fremito di libertà, di non-conformismo e multiculturalismo. Tale vocazione si intuisce già agli inizi del II millennio a.C., quando il nome di Tadmor è citato per la prima volta nei documenti dei commercianti assiri che fanno base a Kanesh, in Cappadocia. […]