L’età dell’angoscia. Da Commodo a Diocleziano Crisi del III secolo

Da Commodo a Diocleziano

Archeologia Viva n. 171 – maggio/giugno 2015
pp. 48-56

di Sergio Rinaldi Tufi

Aumento sui confini della pressione di popoli “esterni” spinte secessioniste disordini crisi del tradizionale sistema economico inflazione e conseguente necessità di aggiornare continuamente la moneta ma soprattutto una grave instabilità politica

In poco meno di centocinquanta anni l’Impero romano cambiò il proprio aspetto arrivando all’instaurazione della Tetrarchia e alla perdita del ruolo di capitale della stessa Roma

Crea una certa curiosità, per non dire inquietudine, vedere per le strade della capitale manifesti in cui è raffigurata una bella e minacciosa testa di leone (particolare di un sarcofago del III sec. d.C.) accompagnata dalla scritta: “L’età dell’angoscia”.

Pochi notano, a un primo sguardo, l’antilope raffigurata in basso, vittima del felino: del resto il titolo non si riferisce al terrore dell’artiodattile, ma alla mostra in corso ai Musei Capitolini che costituisce uno dei numerosi eventi della serie “I giorni di Roma”. Se si voleva portare avanti quella vasta e meritoria iniziativa, a questo III secolo bisognava pur arrivare. Per meglio dire, a quella che universalmente è definita “la crisi del III secolo”, ma che in certo senso comincia prima.

Già dopo la morte, nel 180, di Marco Aurelio (l’imperatore-filosofo che era stato costretto a lunghe guerre di confine), secondo lo storico Cassio Dione, «la storia era passata da un impero d’oro a uno di ferro arrugginito»; poi, alla morte di Commodo (192), Settimio Severo era salito al trono solo al termine di feroci contese.

Comunque, dopo Settimio (193-211) e i suoi immediati successori (l’ultimo dei quali è Alessandro Severo, morto nel 238), l’immenso stato romano scivola in una situazione senza precedenti: spese militari sempre in aumento, che rendono ancor più abnorme lo strapotere dell’esercito e provocano disavanzo e inflazione; dure lotte da parte di imperatori-soldati che poi, una volta conquistato il potere, lo perdono nel sangue dopo pochi anni (oltre venti salgono al trono nel giro di un secolo!); tensioni fra apparato imperiale e classe dei ricchi proprietari; fiscalismo esasperato (anche la famosa Constitutio Antoniniana proclamata da Caracalla nel 211, che estende a tutti la cittadinanza, serve in realtà a far sì che tutti paghino tasse elevate); pressioni delle gentes externae, le popolazioni che vivono oltre il sempre più pericolante limes. Scrive Cipriano, vescovo santo di Cartagine, nel 251: «Necessariamente declina ogni cosa che, avvicinandosi ormai alla sua fine, vien meno e precipita».

Nel 260 accade un fatto inaudito sul fronte orientale: l’imperatore Valeriano è fatto prigioniero dal re persiano Shapur I. Il successore Gallieno riorganizza l’esercito, ma poi, a ben vedere, anche il fatto che Aureliano (270-275) faccia costruire possenti mura per proteggere Roma, che a lungo ne aveva orgogliosamente fatto a meno, è sintomo di palpabile inquietudine.

Più tardi, Diocleziano compie un vigoroso tentativo di riforma globale, ma la Tetrarchia (quattro imperatori, cioè due Augusti e due Cesari) da lui ideata nel 284, con complicati meccanismi di successione, dura solo fino al 312 quando, con Costantino, si avvia una nuova era. […]