Com’eravamo… Come mangiavamo… Alle origini del gusto

Cibo nell'antichità

Archeologia Viva n. 171 – maggio/giugno 2015
pp. 40-46

di Laura Del Verme e Alessandro Mandolesi

«In nulla il cuoco differisce dal poeta: nel mestiere d’entrambi l’inventiva è tutto»
Eufrone (poeta greco del III sec. a.C.)

Al pari del linguaggio gli alimenti non sono solo “buoni da mangiare” sono anche “buoni da pensare” e “da comunicare”

Così il cibo diventa anche un linguaggio interculturale con regole e comportamenti sulla base dei quali possiamo condividere un senso di appartenenza comune senza rinunciare alle nostre identità

L’Italia si distingue per una solida tradizione gastronomica, con un primato indiscusso nell’arte culinaria, diversificata sin dall’antichità anche per le caratteristiche geografiche del Paese, che si estende dal Mediterraneo all’Europa, con una cultura alimentare frutto di mirabile sintesi tra le esperienze di Oriente e Occidente.

Si comprende allora quanto sia forte il legame tra cibo e territorio. I modi di soddisfare l’appetito – comune denominatore dell’essere biologico – vanno comunque declinati al plurale, nel senso che le pratiche alimentari variano a seconda delle epoche e dei contesti.

Da una mensa frugale alla grande varietà dei cibi

I nostri lontani progenitori erano costantemente impegnati nell’approvvigionamento alimentare. Questo costituiva la preoccupazione principale.

Al tempo stesso è nota l’introduzione in agricoltura d’innovazioni tecniche che testimoniano la capacità dell’uomo di plasmare l’ambiente naturale secondo le proprie necessità. Le più antiche testimonianze relative al mondo romano ci restituiscono un quadro di estrema semplicità; lo stesso termine frugalis, ‘sobrio’, derivante da fruges, verosimilmente indicava i frutti primari della terra, come cereali, legumi e ortaggi, elementi base dell’alimentazione della prima dieta latina.

I contatti con le varie civiltà del Mediterraneo trasformarono progressivamente le abitudini alimentari romane: vengono introdotte nuove tecniche di lavorazione agricola, entrano nella dieta quotidiana nuove piante e alberi da frutto, si viene a creare una gastronomia cosmopolita che accoglie sempre più influenze esterne: orientali, greche, etrusche e addirittura celtiche.

I raffinati uomini della Magna Grecia, portatori della grande cultura dell’Ellade, ridevano di quei villani indigeni che nel resto della Penisola si nutrivano di polente di farro accompagnate da verdure e che per questa ragione chiamavano pultiphagi, “mangiatori di poltiglie”, insomma… “mangiapolenta”! Eppure proprio quei “pultifagi”, divenuti nel caso dei Romani sempre più potenti, avrebbero trasformato la propria tavola nella più fornita e innovativa del mondo. […]