Il tesoro di antichità. Winckelmann e il Museo Capitolino Arte antica

Winckelmann

Archeologia Viva n. 188 – marzo/aprile 2018
pp. 10-20

di Eloisa Dodero e Claudio Parisi Presicce

Il celebre archeologo tedesco trovò nell’eccezionale museo di arte antica realizzato sul Campidoglio da Clemente XII con le opere collezionate dal cardinale Albani una straordinaria occasione di analisi critica come mai era stata offerta da nessuna altra istituzione europea

Una mostra ai Musei Capitolini documenta questo “storico” incontro fra la genialità dello studioso e le sorprendenti opportunità che la Roma settecentesca era capace di offrire

La parola libertà, Freiheit, ricorre spesso nel carteggio e nelle opere di Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), padre fondatore della moderna archeologia, figura di capitale importanza nella storia della cultura europea, di cui nel 2017 e nel 2018 si ricordano due anniversari: i 300 anni dalla nascita nella piccola città di Stendal nella marca del Brandeburgo e i 250 anni dalla morte, tragica, a Trieste.

La libertà è innanzitutto una chimera che Winckelmann insegue per tutta la vita, dagli inizi stentati trascorsi peregrinando tra numerose città tedesche, alla breve, ma significativa esperienza di Dresda presso la corte di Augusto III, fino all’arrivo a Roma nel novembre del 1755, viaggio sovvenzionato dalla stessa corte sassone e preparato dalla tormentata conversione dal protestantesimo al cattolicesimo nell’anno precedente.

Una volta giunto a Roma, Winckelmann inizia a percepirsi come uomo libero. La libertà consiste innanzitutto nella possibilità di stabilire un contatto diretto con l’immenso patrimonio artistico della città. Winckelmann percorre Roma in lungo e in largo, riesce a ottenere l’accesso a tutte le collezioni di antichità, ancora ricchissime prima delle spoliazioni e delle vendite del tardo Settecento, e da subito si rende conto che anni e anni di letture serrate lo hanno solo preparato all’impatto con l’Antico e che, dunque, è necessario ripartire da qualcosa di ovvio e nello stesso tempo difficile e rivoluzionario: osservare le opere d’arte, toccare con mano, non limitarsi alle nozioni libresche.

Libero dalle incombenze che tanto lo avevano angustiato, soprattutto negli anni di insegnamento alla scuola di Seehausen (1743-1748), Winckelmann può dedicarsi a quello che ama di più grazie alla generosità dei suoi protettori, prima il cardinale Alberico Archinto (1698-1758), nunzio in Polonia, con il quale era giunto a Roma e che lo aveva spinto alla conversione, e poi, dal 1759, il cardinale Alessandro Albani (1692-1779), nipote di Clemente XI.

Svolge sì la funzione di “Cicerone” per i tanti visitatori stranieri che giungono a Roma nel periodo del Grand Tour, ma solo per un pubblico selezionatissimo e capace di contribuire allo sviluppo dei suoi scritti; è domesticus del cardinale Albani, ma ne è anche amico in un rapporto complesso, fatto di veglie notturne al capezzale dell’alto prelato, estenuanti serate mondane, ma anche di lunghe passeggiate serali e dotte disquisizioni nello splendore di Villa Albani, fatta costruire sulla via Salaria dallo stesso cardinale. […]