Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 171 – maggio/giugno 2015

di Piero Pruneti

La straordinaria scoperta della tomba di un “principe” celtico subito fuori Troyes, la città della Champagne dalla bellissima cattedrale gotica dove si trova la testa di Bernardo di Chiaravalle (la chiesa è comunque più piccola dell’originario tumulo sepolcrale del “principe”) ci riporta a un’Europa a nord delle Alpi della metà del I millennio a.C. dove non mancavano certo il potere e la ricchezza dei capi.

L’enorme calderone del corredo di Lavau, che proponiamo in copertina, è la rappresentazione perfetta di tanta forza esibita. L’immagine provoca la fantasia. Un oggetto di quella mole e raffinatezza, fuso in una delle migliori officine, probabilmente, d’Etruria, che a loro volta riprendevano capacità e modelli da maestri greci, trasportato per settimane o mesi su carri trainati da buoi per vie di traffico a mala pena battute, prima attraverso l’Appennino, poi per i fiumi della pianura padana, quindi di nuovo lungo le valli e su valichi da superare scalando sentieri alpini. Oppure passando dal mare di Provenza. E ancora non si era che a metà del viaggio…

All’arrivo il valore di quel calderone era immenso e chi lo usava, magari riempiendolo di costosissimo vino per il gusto di quei simposi che l’Ellade aveva insegnato al mondo, era a un passo dalla considerazione divina. Così negli spazi sterminati fra le Alpi e l’Atlantico settentrionale – dove la protostoria e anche la preistoria si attardavano, mentre il “profondo Sud” diffondeva tecnologie e ricercati stili di vita – chi se lo poteva permettere mangiava e beveva “alla greca” o “all’etrusca”, che poi erano diventati quasi la stessa cosa.

Ma dobbiamo pensare che quegli oggetti, giunti nel “profondo Nord” come delle epifanie, funzionassero da “paraboliche” di un benessere lontano e mitico, miraggio di un mondo dove, arrivandoci, di quella ricchezza si poteva divenire partecipi. Così i Celti calarono a ondate nella Penisola per prendersi un po’ di paradiso, seguendo direzioni opposte a quelle di chi oggi attraversa il Canale di Sicilia…

Piero Pruneti 

direttore di “Archeologia Viva”