Incontro con Daniele Manacorda La voce della storia

Archeologia Viva n. 170 – marzo/aprile 2015
pp. 74-75

Intervista di Giulia e Piero Pruneti

«Per salvare il patrimonio culturale non bastano leggi impeditive: occorre il coinvolgimento reale dei cittadini»

«È un vero dramma quello per cui si entra in un museo e se ne esce senza aver capito nulla»

È uno degli archeologi di punta fra quanti pensano che l’archeologia debba avere finalità pubbliche, che la ricostruzione del passato sia un diritto dei cittadini, che pagano le tasse per consentire la ricerca, e ai quali spetta perciò un’informazione chiara e tempestiva.

E il patrimonio come proprietà comune e non riserva eccellente dello Stato (che spesso significa dei suoi funzionari), di cui i cittadini sono stati concettualmente e di fatto spodestati. Basti pensare al divieto, venuto meno da poco, di fotografare nei musei, che intimoriva i visitatori come fossero ospiti in casa altrui. Così, non lamentiamoci se la gente non “sente suo” il bene culturale… Una battaglia che Daniele Manacorda combatte da una vita, senza rinunciare, quando ci vuole, a una tagliente forza polemica.

L’ultimo suo libro, L’Italia agli Italiani. Istruzioni e ostruzioni per il patrimonio culturale (vedi: In libreria), da cui ha preso spunto l’intervista che segue, è una riflessione documentata, e allarmata, su conservatorismi, tabù, false coscienze e anche il politicamente corretto che impedisce all’Italia di rinnovarsi e, finalmente, ringiovanire. Daniele Manacorda ha insegnato per trent’anni all’Università di Siena.

Dal 2004 è docente di Metodologia della ricerca archeologica all’Università Roma Tre. A partire dal 1981 ha diretto il primo progetto di archeologia urbana della Capitale nell’isolato della Crypta Balbi (vedi Archeologia urbana a Roma: il progetto della Crypta Balbi, 1-5, Firenze 1982-1990) e ha curato l’allestimento scientifico del Museo inaugurato in quel sito (Crypta Balbi. Archeologia e storia di un paesaggio urbano, Milano 2001).

Si è occupato di archeologia della produzione e di storia economica del mondo antico, con particolare riferimento ai commerci e alle anfore da trasporto, anche attraverso lo scavo dei siti produttivi e la sua edizione di carattere multidisciplinare (Le fornaci romane di Giancola a Brindisi, in coll. con S. Pallecchi, Bari 2012).

Ha affrontato il tema dell’interazione fra fonti archeologiche e fonti scritte, approfondendo studi di epigrafia lapidaria (a partire da Un’officina lapidaria sulla Via Appia, Roma 1980) e di epigrafia dell’instrumentum. Per molti anni ha diretto gli scavi sull’acropoli di Populonia in Toscana (Materiali per Populonia 1-10, Firenze-Pisa 2002-2011), accompagnati dall’allestimento del Museo del territorio a Piombino nel 2001 e dall’apertura del nuovo Parco archeologico nel 2007.

Ha fatto parte del coordinamento scientifico del Museo del Santa Maria della Scala a Siena e ha curato la sezione archeologica del Museo della città di Narni (Tr). Ha curato le edizioni italiane delle opere di E.C. Harris, Principi di stratigrafia archeologica (Roma, NIS 1983) e di C. Renfrew-P. Bahn, Archeologia. Teorie, metodi, pratica (Bologna, Zanichelli 1995); ha pubblicato, con R. Francovich, il Dizionario di archeologia (Roma-Bari, Laterza 2000) e più recentemente i volumi Prima lezione di archeologia (Roma-Bari, Laterza 2004), Il sito archeologico: fra ricerca e valorizzazione (Roma, Carocci 2007), Lezioni di archeologia (Roma-Bari, Laterza 2008); e ha curato, in collaborazione con R. Santangeli Valenzani, Il primo miglio della Via Appia a Roma, Atti della Giornata di studio (16 giugno 2009), Roma, CROMA 2011. Fra i lavori di carattere enciclopedico si ricordano Enciclopedia del Novecento. Supplemento II, 1998; Il mondo dell’archeologia, 2002; Dizionario di storia Treccani, 2010.

D: Il tuo ultimo libro L’Italia agli Italiani ha un titolo che sembra risorgimentale…

R: Qualcuno mi ha fatto notare che è un titolo ambiguo, come se l’Italia non dovesse essere degli europei o dei cittadini del mondo, come anch’io penso.

L’affermazione nasce invece da un desiderio opposto ovvero non per isolare gli Italiani, ma per renderli consapevoli che sono loro i veri proprietari dei beni culturali e che quindi una buona amministrazione pubblica del patrimonio oggi deve essere accompagnata da un’azione parallela da parte dei cittadini, chiamati a raccolta per questo.

Garantire la tutela del patrimonio ci viene giustamente imposto dalla nostra Costituzione; altra cosa è far vivere il patrimonio, attraverso forme di gestione che possono essere le più diverse e partecipate. […]