Etiopia: nel cuore antico dell’Africa Viaggio sull'Altipiano

Etiopia: nel cuore antico dell’Africa

Archeologia Viva n. 170 – marzo/aprile 2015
pp. 12-34

di Piero Pruneti e Altri

Questo articolo nasce dall’esperienza di un recente viaggio sull’altopiano etiopico – l’Abissinia storica – vissuto insieme a un gruppo di lettori della nostra rivista

È stata un’esperienza straordinaria nel tempo e nello spazio che dalle origini dell’uomo nella Rift Valley passando attraverso le nobili testimonianze del Regno di Aksum e gli aspetti coinvolgenti di un cristianesimo tutto africano arriva ai ricordi della presenza italiana e alle problematiche attuali di un Paese che cerca di farcela…

Da Addis Abeba inizia ogni escursione in terra d’Etiopia. Il nostro viaggio riguarda l’Etiopia storica, che un tempo si chiamava Abissinia, quella della “faccetta nera…”, grosso modo il centro-nord del Paese attuale, di religione a grande maggioranza cristiana.

La capitale fondata a fine Ottocento da Menelik II, l’imperatore che ad Adua nel 1896 dette il grande schiaffo all’Italia in fase di pruriti coloniali, non si presenta benissimo: senza monumenti di rilievo, con strade senza un disegno, condomini anonimi che si alternano a baracche, tanta povertà… Diciamo che Addis Abeba (in amarico ‘nuovo fiore’) è la rappresentazione vera di un Paese africano con 92 milioni di abitanti, quasi tutti ancora dispersi nelle campagne e ai limiti della pura sopravvivenza, una parte dei quali ha tentato l’avventura urbana, con risultati apparentemente pessimi.

Visitiamo il Museo Nazionale

Nel giardino ci accoglie la statua di abuna Petros, fucilato dagli italiani nella piazza del mercato nel 1937 per avere incitato il popolo alla resistenza, su ordine del generale Graziani, conquistatore dell’Etiopia insieme a Badoglio e dopo di lui viceré dell’Africa Orientale Italiana.

Per gli abissini fu come aver giustiziato il papa: abuna, ‘nostro padre’ in amarico, è il titolo che precede il nome dei monaci e, per antonomasia, indica la massima carica religiosa della Chiesa ortodossa etiopica. Un altro abuna, Theophilos, fu ucciso nel 1979 sotto la dittatura di Menghistu.

All’interno del Museo, dopo sale con ritratti e divise d’imperatori, documentazioni di vita tribale e oggetti etnici, arriviamo all’attesa sala di Lucy, la nostra famosa antenata australopitecina (3,2 milioni di anni), così chiamata per la canzone dei Beatles Lucy in the sky with diamonds che sembra stesse cantando Donald Johanson al momento della scoperta nel 1974.

Il ritrovamento avvenne ad Hadar, nella regione dancala dell’Afar (da cui il nome scientifico di Australopithecus afarensis della specie a cui Lucy apparteneva), all’interno della Rift Valley, la grande fossa tettonica che da nord a sud attraversa tutta l’Africa orientale tagliando in due l’altopiano etiopico. È una grande emozione. Siamo alle origini, nella culla, dell’umanità.

Da qui i successori di Lucy partirono alla conquista dei continenti…

Vengono poi le vetrine con le testimonianze di Aksum, dalle infusioni culturali chiaramente semitiche e sabee (dall’antistante penisola arabica): Aksum, il primo impero dell’altopiano, che secondo il racconto del Kebra Nagast (antico e fondamentale testo etiope ricompilato nel Medioevo) si vuole fondato da un Menelik I, figlio di Salomone e della Regina di Saba (per gli Etiopi Makeda, regina del sud), le cui immagini ricorrono nei vivaci dipinti murali delle chiese.

Anche la lingua di Aksum, il ge’ez, antenata dell’amarico e conservatasi nell’uso liturgico, era un idioma semitico. […]