Iraq e Siria: l’estinzione del patrimonio culturale Futuro del passato

Iraq e Siria: l’estinzione del patrimonio culturale

Archeologia Viva n. 169 – gennaio/febbraio 2015
pp. 64-69

di Paolo Brusasco

Visioni escatologiche e profitti economici stanno annientando il patrimonio archeologico e monumentale di regioni definite “culla dell’umanità”

Ecco il drammatico reportage di uno dei massimi esperti dell’archeologia nelle aree di crisi

La recente ondata di distruzioni intenzionali e saccheggi del patrimonio in Iraq e Siria si articola su un duplice livello: ideologico ed economico.

Partiamo dal primo. Con la presa di Mosul l’8 giugno 2014 e la seguente autoproclamazione dello Stato Islamico (IS), dall’Iraq centrale alla Siria nord-orientale, si assiste all’obliterazione sistematica di musei, siti archeologici, santuari e moschee.

In un’area, quella della piana di Mosul, nella provincia della biblica Ninive, ricchissima di siti: circa milleottocento dalla preistoria all’età assira, dalle culture paleocristiane a quelle di minoranze etniche-confessionali quali yazidi, shabak, mandei, curdi e turcomanni.

Oltre ai simboli preislamici pagani, vengono colpite anche le moschee, soprattutto quelle funerarie dedicate a santi, profeti e imam, in prevalenza di credo sciita e sufi, ma non sono risparmiate quelle di matrice sunnita (credo di appartenenza di IS).

La ragione è quella sin troppo inconsistente più volte reiterata dal sunnismo wahhabita (si vedano i talebani in Afghanistan con le distruzioni dei Buddha di Bamiyan nel 2001 o il gruppo estremista di Ansar Dine che nel 2012 ha annientato a Timbuctù in Mali splendide moschee funerarie).

Citando il caso della distruzione nel XVIII secolo, nei pressi di Riyad, della tomba di Zaid ibn al-Khattab – noto compagno del Profeta Muhammad e martire musulmano – da parte del fondatore del movimento estremistico wahhabita Mohammed bin Abdel Wahhab, lo Stato Islamico asserisce che «la demolizione delle moschee funerarie è un atto dovuto, da ricollegare a un’inequivocabile e ferma condanna del politeismo (shirk) da esse rappresentato».

Tuttavia è una concezione debole, non priva di contraddizioni, fortemente osteggiata da più di un pensatore musulmano, anche di credo sunnita estremistico come Harith al-Dhari, presidente del Comitato Iracheno degli Studiosi Musulmani, che condanna «atti vandalici del genere che hanno distrutto la memoria storica di Mosul». […]