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Cranio umano di 5300 anni nella grotta ‘Marcel Loubens’ Scoperta e recupero

Particolare cranio di 5300 anni prima del recupero nella grotta Marcel Loubens

21 giugno 2018


Rinvenimento di un cranio umano nella Grotta Marcel Loubens (S. Lazzaro di Savena, Bo)

Testo di Monica Miari (archeologa) e Maria Giovanna Belcastro (antropologa)

Dall’800 ad oggi le grotte emiliano-romagnole sono state oggetto di esplorazioni speleologiche e archeologiche che hanno portato alla luce una grande quantità di resti umani, insieme a materiale archeologico databile all’età del Rame e all’antica età del Bronzo. Fra il terzo e gli inizi del secondo millennio a.C. le cavità naturali venivano infatti sfruttate come luogo di sepoltura collettiva, secondo un costume tipico sia in area appenninica che in area alpina.

In Emilia-Romagna le grotte che hanno restituito una quantità significativa di resti umani risalenti alla tarda età del Rame e al Bronzo Antico sono la Grotta del Re Tiberio, la Tanaccia di Brisighella, la Grotta dei Banditi nell’area dei Gessi romagnoli, il riparo sottoroccia del Farneto nel bolognese e la Tana della Mussina nel reggiano.
A questi dati si aggiunge ora il recente rinvenimento di un cranio nella Grotta Marcel Loubens a San Lazzaro di Savena (BO). La grotta si apre sul lato sud della Dolina dell’Inferno e dista dal Farneto meno di 600 metri in linea d’aria.
Durante l’esplorazione di un ramo di recente scoperta è stato segnalato un cranio umano lungo la risalita di un alto camino: il reperto si trovava a strapiombo a 11 metri d’altezza dal fondo, incluso in un ammasso detritico franoso e poco stabile che ha reso necessario e urgente il suo recupero.

La delicata operazione è stata eseguita dal Gruppo Speleologico Bolognese nell’estate 2017. Il cranio è stato subito trasportato presso il Laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia forense del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna al fine di iniziarne lo studio.

In fase preliminare si è realizzata una tomografia (TAC) del reperto per valutarne lo stato di conservazione e il tipo di sedimenti che riempivano la cavità cranica mentre le datazioni al radiocarbonio effettuate sul secondo molare sinistro dal CEDAD, Centro di Datazione e Diagnostica dell’Università del Salento, hanno collocato il reperto tra il 3.300 e il 3.600 a.C., consentendo di posizionarlo nell’ambito di quanto già noto nelle altre cavità naturali.
Le indagini nella grotta sono ancora a uno stadio iniziale e al momento non sono disponibili altre informazioni circa la natura del deposito anche se, sulla base di quanto riferito dagli scopritori, parrebbe che il reperto si trovasse in giacitura secondaria.

Occorre comunque ricordare che nell’età del Rame molte sepolture presentano pratiche funebri di manipolazione, spostamento e rimozione dello scheletro che rivelano un forte simbolismo legato alle credenze sacre e al culto degli antenati. I crani, in special modo, dovevano rivestire un forte valore simbolico: la loro asportazione quasi sistematica dal luogo di giacitura potrebbe suggerirne un utilizzo in ambienti diversi da quello strettamente funerario.

I primi dati sono stati pubblicati dagli scopritori negli atti del convegno “La frequentazione delle grotte in Emilia-Romagna tra archeologia, storia e speleologia” tenutosi a Brisighella (Ra) dal 6 al 7 ottobre 2017 ed editi a gennaio 2018 da questa Soprintendenza.

Informazioni: Tel. (+39) 051.223773
www.archeobologna.beniculturali.it


(Archivi SABAP-BO e GSB-USB. Foto F. Grazioli)