Le temibili spade dei Celti Antiche tecnologie

Le temibili spade dei Celti

Archeologia Viva n. 164 – marzo/aprile 2014
pp. 56-69

di Daniele Vitali, Nicola Bianca Fàbry, Federica Guidi, Laura Minarini e Vincenzo Pastorelli

Per circa due secoli i Galli calarono dai passi alpini e occuparono l’Italia continentale fino alle Marche arrivando a saccheggiare Roma

Le loro armi non dovevano essere così “primitive” e scadenti come gli storici antichi vorrebbero farci intendere: ce lo confermano i corredi dei guerrieri celtici e le repliche sperimentali del loro armamento

«La spada gallica è inferiore a quella romana perché essa può colpire solo di taglio e non anche di stocco e per questa caratteristica ha efficace solo il primo colpo», scriveva Polibio intorno al 150 a.C. (Polibio II, 30, 7).

Questo storico greco, originario del Peloponneso, fanatico di Roma e dell’azione politica degli Scipioni, suoi protettori, ha più volte enfatizzato la cattiva qualità delle armi dei Celti: «Dopo il primo fendente la spada si piega e si deforma in lungo e in largo e obbliga il guerriero a raddrizzarla col piede, appoggiandone l’estremità a terra» (II, 33, 3).

E ancora: «La spada dei Celti è sprovvista di punta e per questo non può essere usata che per colpi di fendente» (II, 33, 5). Inoltre, «la spada gallica non serve che di taglio e da una certa distanza, mentre quella iberica, completamente diversa, è forte sia nei colpi di punta sia in quelli di taglio e specifica per il combattimento a distanza ravvicinata» (III, 114, 2-3).

Due secoli dopo, quando di Celti indipendenti non vi era quasi più traccia, lo stesso concetto veniva ribadito da Plutarco, che riprendeva i luoghi comuni degli scrittori precedenti: secondo lo storico greco nativo di Cheronea, oltre a pessime spade, i Celti avrebbero avuto anche un cattivo scudo.

Quest’arma da difesa (e offesa) sarebbe stata inefficace perché, sempre secondo Polibio, «troppo corta e stretta per coprire interamente i poderosi corpi dei Gesati (polazione gallica originaria della valle del Rodano – ndr) dai dardi lanciati dai velites (fanteria leggera romana – ndr)» (Plutarco II, 30, 3 e 30, 8). […]