Archeologia Viva n. 225 – maggio/giugno 2024
pp. 76-77
Intervista di Giulia Pruneti
«Scavare è in parte distruggere: ci vuole grande responsabilità»
«Il fondamentalismo cancella “strategicamente” la memoria di un popolo»
«L’Università è ancora uno straordinario spazio democratico»
«Ho visto riemergere sigilli di 6000 anni fa… che emozione!»
«A cosa serve scavare se poi nessuno, a parte gli addetti ai lavori, ne sa niente? La comunicazione è imprescindibile da qualunque ricerca archeologica perché crea ponti tra il passato e la società contemporanea».
Non ha dubbi Luca Peyronel, ordinario di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente antico all’Università degli Studi di Milano. Parola d’ordine nel suo procedere dentro e fuori lo scavo è: “contatto”. Non solo quello creato comunicando verso l’esterno, ma dialogando prima di tutto con le comunità, aiutandole a divenire “custodi primi” del bene culturale sul territorio.
Se si considera che le aree di scavo di Peyronel si trovano nell’antica Mesopotamia e in altre aree “toccate” ripetutamente da confitti bellici, ben si comprende come ogni missione non possa prescindere da quella culturale e sociale come racconta nell’intervista.