Archeologia Viva n. 142 – luglio/agosto 2010
pp. 64-67
di Claudio Pescio
Isole Marchesi: nel cuore di una Polinesia lontana dal turismo di massa visita ai resti di un’antica civiltà spazzata via dai colonizzatori europei del XIX secolo e tuttora in bilico tra conservazione e oblio
Terra degli Uomini, Fenua’enata: le Marchesi, una ventina di isole, di cui sei abitate, sperdute nel Pacifico. Una Polinesia col mare color melanzana e niente perle, e rocce nere invece di sabbia bianca. Maestosi scenari montani, vegetazione, poche pianure, coste scoscese. L’ultimo approdo di Paul Gauguin e Jacques Brel. Tappa precoce nel viaggio iniziatico di un giovanissimo Herman Melville.
In questo “mondo a parte” l’uomo arriva probabilmente solo tra il 100 e il 700 d.C., in una delle ultime tappe della lunga e amplissima migrazione austronesiana, forse da Samoa o dalle Tonga. E poi, secoli di isolamento, in un prolungato Neolitico che non conosce la ceramica e il metallo, e nemmeno la scrittura, ma è padrone dell’arte della navigazione. Poi l’arrivo degli europei, con sporadiche visite tra fine Cinquecento e Settecento; poi la colonizzazione a metà Ottocento…
Bastano alcuni dati per capire l’entità della devastazione che l’arrivo di spagnoli, inglesi, francesi (con armi, alcool e malattie al seguito) ha comportato: i cinquanta o centomila abitanti vagamente stimati nell’arcipelago ancora nel secolo XVIII, tra Ottocento e Novecento erano diventati duemila… […]