Guerrieri di Riace: la nuova pista siciliana Capolavori sotto indagine

Archeologia Viva n. 231 – maggio/giugno 2025
pp. 40-57

di Anselmo Madeddu, Mimmo  Bertoni, Rosolino Cirrincione, Luigi Malnati, Carmelo Monaco, Rosalba Panvini, Rosalda Punturo e Carmela Vaccaro

Chi erano? Da dove venivano? E la storia del ritrovamento?
Tanti sono i dubbi che ancora avvolgono le statue antiche più famose del mondo

Ecco i risultati di una ricerca a tutto campo che dopo cinquant’anni dal recupero dei Bronzi nel mare di Riace apre nuovi sorprendenti orizzonti per una lettura meno contraddittoria di tutta la vicenda

S appiamo che i due celebri Bronzi furono prima fusi a sezioni anatomiche separate e quindi assemblati e saldati (E. Formigli, 1984). Sappiamo pure che esiste una forte differenza geochimica tra le terre di fusione* dei modelli interni delle singole parti anatomiche e quelle utilizzate per realizzare i perni di terracotta impiegati come supporti nelle giunture che vennero saldate (M. Micheli et al., 2003).

Una differenza talmente netta che si può spiegare solo ammettendo che le parti anatomiche di queste statue siano state realizzate in un posto e poi saldate e collocate in un altro, facendo ricorso in entrambi i casi alle rispettive terre locali. Del resto si trattava di una prassi che ormai ci è ben nota. Un recente studio della Scuola Francese d’Atene sulle terre di fusione dell’Auriga di Delfi (circa 475 a.C.), ad esempio, ha provato che questa statua venne fabbricata a Sibari (Psalti et al., 2018) e poi collocata a Delfi, su commissione siciliana dei Dinomenidi. 

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