GUERRIERI DI RIACE: L’IPOTESI “SICILIANA” RIAPRE IL CASO

30 maggio 2025


Come c’era da aspettarsi, la pubblicazione su Archeologia Viva di marzo/aprile di un lungo articolo che entra nel merito della molto controversa vicenda – archeologica, storica, interpretativa e anche poliziesca – che riguarda i due mostri sacri dell’arte antica quali sono le statue bronzee rinvenute nel 1972 nel mare di Riace, ha creato scalpore e polemiche, se non indignazione. In particolare, perché a sostenere le tesi proposte, peraltro con il beneficio del dubbio, non è un archeologo o storico dell’arte patentato, bensì un medico, il dr. Anselmo Madeddu, che tuttavia ha firmato l’articolo insieme a un gruppo di studiosi e docenti universitari di tutto rispetto. Per i dubbi e le spesso contraddittorie interpretazioni che riguardano i Bronzi di Riace la partita non può considerarsi chiusa e noi crediamo di aver gettato un bel sasso nello stagno. Come esempio delle “reazioni” in atto, a seguire pubblichiamo uno degli “autorevoli” interventi critici che sono arrivati alla rivista.

Redazione “Archeologia Viva”

Intervento del prof. Daniele Castrizio
Gentile Redazione, non sono ancora riuscito a riprendermi dallo shock dello speciale di Rai1 sui Bronzi di Riace, infarcito di falsi scoop, corroborati da un fotomontaggio diffamatorio, ma oggi aggiungete delusione su delusione. Nell’ultimo numero della vostra pregiata rivista voi non solo date credito alla teoria sui Bronzi di Riace del dr. Madeddu, presidente dell’Ordine dei Medici di Siracusa, che non ha nulla di scientifico, come dimostrato dall’archeologo del CNR Fabio Caruso, ma mettete in copertina le ricostruzioni della mia ipotesi, il cui originale è stato realizzato dal visual designer Saverio Autellitano, attribuendole però a Madeddu. Che dire? Complimenti!! 
Voi mi direte: è una notizia e noi dobbiamo darne conto. Se questo è il vostro punto di vista, devo, però rispondervi che in Italia abbiamo perso il senso della misura, perché uno dei fondamenti della public history, o archeologia pubblica se preferite, è che la divulgazione venga effettuata dagli esperti e dagli studiosi accreditati. Pensate voi, dando la parola a un medico, che abbiate reso un buon servizio all’opinione pubblica? Assolutamente no! Cosa può comprendere un lettore medio, posto di fronte alla scelta tra una teoria scientifica, come quella di Paolo Moreno, di Giuseppe Roma, di Vinzenz Brinkmann, e le sparate di un medico, che non ha mai sostenuto un esame di archeologia, senza un dottorato di ricerca o una scuola di specializzazione in archeologia? Senza un filtro, che toccava a voi porre, la confusione regna sovrana. Mi dispiace, ma avete dato un ulteriore colpo alla disinformazione scientifica e alla squalificazione della ricerca universitaria. In Italia, mentre le altre Nazioni puntano sull’archeologia pubblica, si cerca di creare solo confusione, con un’archeologia dell’ignoranza e delle emozioni di fronte ai Beni archeologici, così cara ai vertici burocratici del Ministero della Cultura, responsabili della decadenza delle ricerche e degli studi in Italia.
Purtroppo, non esiste l’equivalente dell’art. 348 del Codice Penale, che punisce l’abuso di professione medica, per chi abusa, invece, della professione di archeologo. Per parte mia, sto cercando di pubblicare una mia farneticazione sulle valvole mitraliche del cuore sulla rivista “The New England Journal of Medicine”, solo per pareggiare i conti!

Daniele Castrizio
ordinario di Numismatica – Università di Messina

Risposta di Piero Pruneti
Gentile professor Castrizio,
non voglio entrare nel merito delle sue affermazioni, che in linea di principio condivido in pieno, ma che nella fattispecie mi trovo a impugnare, perché, prima di pubblicare l’articolo firmato da Madeddu (medico) e da altri (archeologi di soprintendenza e universitari) ci siamo voluti documentare sull’attendibilità dello stesso Madeddu come studioso di archeologia. Lei ha ragione: è una notizia di cui dovevamo dare conto e sono convito che essa abbia riaperto un dibattito che finora ha prodotto una molteplicità di autorevoli e autorevolissime opinioni, senza tuttavia risolvere tanti dubbi, com’è nella stessa natura dell’archeologia. Non stracciamoci dunque le vesti se un “profano” ha messo il dito nella piaga rinnovando un dibattito che va avanti da anni. Le voglio anche ricordare, pur difendendo da sempre a spada tratta la professione di archeologo, che, come lei certamente saprà, non pochi medici sono entrati nella storia dell’archeologia per le loro intuizioni e scoperte. Citerò solo Isidoro Falchi, medico condotto in Maremma, che riscoprì l’etrusca Vetulonia, per cui gli hanno intestato il bel museo di quella città; per non parlare del dilettante Schliemann che, pur fra tanti abbagli, scrisse quella pagina importante che tutti conosciamo.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”

Intervento del dr. Anselmo Madeddu
Personalmente amo da sempre l’archeologia, ho molti amici archeologi e ho un profondo rispetto per questa figura professionale. Ma devo dire, in vero, di non aver mai subito, nella mia vita professionale, degli attacchi così violenti e gratuiti come quelli a cui ho assistito in questi giorni. Attacchi che sorprendono, visto che il loro oggetto non sarebbe il lavoro di un singolo, ma quello di un’équipe multidisciplinare che coinvolge due università italiane ed è stato vagliato e fatto proprio anche da archeologi autorevoli come Luigi Malnati e Rosalba Panvini.

Qualcuno mi ha detto che dietro queste reazioni si cela l’annoso problema del riconoscimento della figura professionale dell’archeologo. Qui in Sicilia, ad esempio, la politica invia spesso a dirigere le Soprintendenze ingegneri, agronomi, architetti. Raramente archeologi. Comprendo, dunque, la preoccupazione e condivido la necessità di tutelare questa professione, ma di certo intervenendo su altri livelli (politici) e su altri temi, non scatenando cacce agli untori di medievale sapore nei confronti di coloro che archeologi non lo sono per professione, ma per passione.

Riguardo al professor Castrizio, mi dispiace quello che ha scritto, perché stimo molto il professionista, e soprattutto il numismatico. Ma le sue doglianze, a mio avviso, sono fondate su presupposti logici errati. Il senso di sconforto che trapela tra le righe del suo intervento è tutto racchiuso nell’infelice passaggio in cui scrive:
«Purtroppo non esiste l’equivalente dell’art. 348 del Codice Penale, che punisce l’abuso di professione medica, per chi abusa, invece, della professione di archeologo». Il problema è tutto lì. 
Ciò che sfugge al prof. Castrizio, infatti, è la ratio del legislatore e l’oggetto della tutela che intende esercitare. Una ratio non rivolta a tutelare i medici, ma i cittadini. Il rilievo penale dell’abuso della professione medica, insomma, non è a vantaggio dei medici, ma dei cittadini, non è finalizzato a privilegiare una casta professionale, ma a garantire la sicurezza dei pazienti. In tal senso, se un medico scrive un libro di interesse umanistico non muore nessuno, ma se un non medico prende il bisturi ed entra in sala operatoria, qualcuno forse la pelle ce la lascia davvero. Questa è la ratio del legislatore nell’art. 348 del Codice Penale. 

Riguardo all’altro passaggio in cui il professor Castrizio accenna alla sua volontà di pubblicare quella che lui stesso definisce una propria «farneticazione sulle valvole mitraliche del cuore sulla rivista “The New England Journal of Medicine”», lo faccia pure se, a prescindere dal possesso della laurea in medicina, la sua passione e i suoi studi lo hanno portato ad acquisire conoscenze così importanti e autorevoli sull’argomento. Anche fisici, biologi, chimici, ingegneri, statistici pubblicano su questa prestigiosa rivista, non solo i medici. Scrivere un articolo sul “The New England Journal of Medicine” non viola l’art. 348 del Codice Penale, perché non configura l’esercizio abusivo della professione medica. Il problema, semmai, è capire se la rivista glielo pubblica. Altrimenti rimangono solo semplici “farneticazioni”, come lui stesso le definisce.

A mio avviso, infatti, l’equivoco in cui incorre, in buona fede, il prof. Castrizio è quello di confondere la libera espressione dell’intelletto con l’esercizio di una professione. Se oggi nel nostro paese un archeologo percepisce uno stipendio dallo Stato non è perché scrive un libro sui Bronzi di Riace, ma perché fa il docente di archeologia all’Università o il funzionario archeologo presso una Soprintendenza. In altri termini, se oggi un cittadino (qualunque sia la sua professione), grazie alla passione che nutre da decenni per una branca dello scibile umano, mette su carta il convincimento che si è fatto su quel dato argomento, non sta abusando di una professione, ma sta esercitando il suo diritto di espressione. Negarglielo fa davvero paura e rievoca inquietanti nostalgie totalitarie del passato. Occorre confrontarsi sui contenuti scientifici e non certo sulla carta bollata. 

E in tal senso non capisco le preoccupazioni del prof. Castrizio Se lui ritiene che lo studio che abbiamo elaborato insieme agli altri studiosi delle università di Catania e Ferrara non abbia fondamenti scientifici, non se ne curi affatto. Perché prendersela così tanto? Altrimenti devo pensare che il problema non è questo, ma quello della visibilità e del successo che sta riscuotendo da più parti questo lavoro scientifico. Ma il successo non dipende dai titoli, bensì dai contenuti.

Mi auguro davvero, pertanto, che, nel rispetto reciproco delle proprie idee, ci si possa presto incontrare e confrontare serenamente e senza pregiudizi con il prof. Castrizio, professionista al quale occorre riconoscere importanti meriti nella ricerca del suo settore, e che personalmente – ripeto – stimo e mi è simpatico, e col quale condivido questa grande passione per i Bronzi. Ben venga dunque il confronto dialettico, ma mai le derisioni e le reazioni scomposte (e qui non mi riferisco a Castrizio) di cui siamo stati fatti oggetto in questi giorni. Non è da Paese civile.
(Per quanto riguarda l’immagine di copertina, in realtà non c’è alcun legame con le ricostruzioni dei Bronzi elaborate dal visual designer Autellitano, dove le statue sono raffigurate in modo ben diverso (barba bionda, elmi diversi ecc). Peraltro, le teste dei due Bronzi della nostra copertina sono tratte da foto reali elaborate artisticamente e sulle quali sono stati montati elmi. Se poi Castrizio si riferisce alla presenza della korinthie kyné (cuffia di cuoio con paranuca a ricciolo) questa é stata senza dubbio una sua intuizione ormai condivisa da quasi tutti gli studiosi. Ma da qui a pretendere di essere l’unico a poter raffigurare il Bronzo B con la korinthie kyné in testa ne corre. Se uno studioso condivide la sua intuizione sulla presenza della korinthie kyné e lo scrive, non può che raffigurare la statua con quell’oggetto in testa, magari ricorrendo a un proprio disegnatore che riproduca autonomamente lo stesso oggetto (noto tra l’altro dalle monete). Del resto, visto che le ricostruzioni della sagoma dei Bronzi non sono ispirate a soggetti astratti e di fantasia ma a due statue reali ed esistenti, è ovvio che debbano somigliarsi un po’ tutte tra loro, altrimenti avresti disegnato un’altra cosa. Pertanto mi sembrano affermazioni non supportate da alcun riscontro oggettivo).

Anselmo Madeddu
medico e scrittore, autore di saggi su storia e arte greca e dell’ipotesi “siciliana” dei Bronzi di Riace