Crypta Balbi: cantiere aperto

11 luglio 2025


È stato inaugurato a Roma il percorso di visita Crypta Balbi: cantiere aperto che permette al pubblico di assistere ai lavori in corso nella celebre area archeologica dove s’intrecciano oltre duemila anni di storia urbana. Un’occasione per camminare nella storia mentre riaffiora, letteralmente, dalla terra.  Una finestra aperta sul nostro passato.

Ricostruzione della veduta di epoca imperiale dell’area del teatro di Balbo

Un luogo unico

L’area della Crypta Balbi – compresa tra le attuali via delle Botteghe Oscure, via Michelangelo Caetani, via dei Delfini e via dei Polacchi – rappresenta un caso unico nel panorama internazionale per l’eccezionale stratificazione archeologica che la contraddistingue.  La vicenda inizia nel 13 a.C. con il teatro di Lucio Cornelio Balbo, dotato dietro la scena di un cortile porticato, circondato da una galleria coperta, detta crypta. Nell’Alto Medioevo vi sorsero la chiesa e il convento di Santa Maria Domine Rose, sostituiti nel XVI secolo da un nuovo complesso intitolato a Santa Caterina d’Alessandria e rimasto attivo fino al 1940. L’intera area, acquisita dallo Stato italiano nel 1981, è ora una delle quattro sedi del Museo Nazionale Romano.

Nel gennaio 2023 la Crypta Balbi è stata chiusa al pubblico in occasione dell’avvio di lavori di scavo archeologico e restauro architettonico.  ben nove interventi, di cui cinque inseriti nel progetto Urbs. Dalla città alla campagna romana e finanziati con 50 milioni di euro nell’ambito del Piano Nazionale Complementare (PNC) al PNRR. 

Le scoperte archeologiche

Durante gli scavi sono emerse alcune novità: la prima è un bothros, ovvero una fossa votiva, rinvenuto al centro dell’area archeologica, che conteneva corna di ovini, vitelli, ceramica riconducibile al II secolo a.C., quindi precedente alla costruzione del Teatro e della Crypta di Balbo in età augustea. La presenza di questa fossa testimonia la vocazione sacra dell’area, in prossimità del punto nel quale nella Forma Urbis severiana (pianta monumentale marmorea attualmente esposta nell’Antiquarium Comunale del Celio) è raffigurato un edificio di incerta identificazione: questo edificio nella storia degli studi è stato interpretato sia come il tempio connesso al teatro (come nel caso del Teatro di Marcello e quello di Pompeo) sia come una serie di fontane. Il ritrovamento del bothros precedente alla costruzione del teatro e del suddetto edificio permetterebbe allo stato attuale di propendere per la prima ipotesi.

L’ edificio di culto

La scoperta più inaspettata è stata l’individuazione di un edificio a due navate, lungo 28 metri e largo 15, fino a ora sconosciuto, con orientamento nord-sud: l’indagine stratigrafica ha permesso di stabilire come questo edificio, la cui costruzione doveva essere stata avviata nel IX secolo, debba essere stata abbandonata prima del suo completamento, forse a causa di un evento traumatico, come i due terremoti che hanno interessato l’area di Roma nell’801 e nell’847. Lo studio su questo nuovo complesso è tuttora in corso, ma viste le dimensioni non si può escludere che si tratti di un edificio di culto, mai completato.

Le statue

Dagli strati di terra creatisi durante le fasi di abbandono del monumento tra V e VI sec.  d.C. sono emerse alcune teste e parti di statue. La prima tra queste è una testa femminile che presenta un viso dall’ovale allungato con arcate sopraccigliari molto profonde, occhi grandi con spesse palpebre, bocca leggermente socchiusa con labbra carnose e una fronte a forma di pelta. La capigliatura, con scriminatura centrale e capelli mossi disposti a bande ondulate, è tagliata nella parte superiore della calotta cranica per far aderire tramite un collante, vista l’assenza di perni, la parte restante o un elemento lavorato a parte.

Sulla superficie sono presenti infine leggerissime tracce di colore.La seconda testa femminile presenta un’acconciatura trattenuta da una tenia, con spesse ciocche ondulate sulla fronte che poi si rivolgono all’indietro e sulla sommità vanno a formare una sorta di nodo. Per le sue caratteristiche la testa può essere riconosciuta come appartenente a una delle numerose varianti ellenistiche che raffigurano Venere.

 

Due sono anche le teste a soggetto maschile, entrambe di dimensioni ridotte e probabilmente appartenenti alla decorazione di un sarcofago: una presenta elementi stilistici orientati verso la schematizzazione esasperata dei ritratti individuali che diventerà propria della ritrattistica di età tetrarchica (284-312 d.C.), l’altra raffigura un personaggio barbato dalla movimentata capigliatura e dalla folta barba, entrambe rese con profondi e ripetitivi fori di trapano.

Anche un’Atena?

Di interesse  anche un frammento di rilievo in marmo bianco raffigurante una figura femminile stante con chitone leggero e himation che ricopre tutto il corpo e all’altezza della vita risale fin sulla spalla sinistra e quindi scende in sinuose pieghe lungo il fianco. Il braccio sinistro è sollevato in atto di sorreggersi a un attributo, forse una lancia. Potrebbe trattarsi di una raffigurazione di Atena, ma non si vede sul petto l’egida con il gorgoneion.

Tra i rinvenimenti anche una statuetta acefala di dimensioni ridotte presenta gambe caprine che permettono l’identificazione del dio Pan, divinità connessa con la vita pastorale e campestre

Il Capitello

Un curioso ritrovamento è invece quello di un grande capitello corinzio di lesena posizionato come lastra di chiusura del pozzetto di una fogna tardo-antica. Il tipo, per la plasticità della composizione e la resa naturalistica degli elementi, trova confronti con i capitelli di lesena del tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto.

La visita

Le visite sono gratuite e si svolgeranno su prenotazione ogni sabato alle 10.30 e alle 12.00. Clicca qui per prenotare