Archeologia Viva n. 233 – settembre/ottobre 2025
di Piero Pruneti
L’articolo sul patrimonio monumentale lasciatoci dalla presenza genovese in Crimea e nel Mar Nero, frutto di un progetto di documentazione condotto da due ottimi ricercatori dell’Accademia delle Scienze russa, Stefania Zini e Nikita Khokhlov (stretti collaboratori della nostra rivista) e dall’archistar italiano Giovanni Spalla, mette a fuoco un brano di storia medievale che vede protagonista quella che all’epoca era una delle massime potenze commerciali europee, e quindi mondiali.
È una storia molto interessante, anche per la sua attualità. Che ci ripete quello che già sappiamo e viviamo ogni giorno sul nostro pianeta del XXI secolo: dovunque corrono i soldi e i grandi affari, si gioca senza esclusione di colpi, passando sopra a qualsiasi ostacolo di natura morale, culturale o religiosa, facendo accordi anche con il diavolo (entità con cui si tende a definire il nemico).
I protagonisti di questa vicenda coloniale genovese sono gli stessi che dominarono il Mediterraneo fra XIII e XV secolo, tutti rivolti al controllo delle linee di mercato collegate con l’Oriente, fino alla Cina.
La via principale era stata quella del Levante, fino a quando non ci si misero in mezzo i califfati e le guerre crociate. Dopo fu necessario passare più a nord, dal Mar Nero e Mar Caspio, e lì i genovesi misero un piede fermo dimostrando tutto il loro realismo economico e le capacità diplomatiche, dal momento che non fu certo facile creare una linea di colonie fortificate a qualche settimana di navigazione dalla madre patria e in mezzo a potentati territoriali che non si potevano certo prendere di petto.
Tutto continuò finché anche la linea del Mar Nero non venne occupata dagli Ottomani che non ebbero problemi a spazzare via ogni forma di insediamento che contrastasse con il controllo totale dei territori conquistati. I genovesi dovettero mollare. Ora parlano le testimonianze archeologiche, le architetture di un mondo scomparso e il fascino della storia che sanno comunicare.
Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”