Archeologia Viva n. 234 – novembre/dicembre 2025
p. 80
di Giuliano Volpe
L’uso politico ideologico e strumentale dell’archeologia che – bisogna ricordarlo – non è mai neutrale risale molto indietro nel tempo e sbaglia chi pensa di essere ormai fuori pericolo…
La strumentalizzazione della disciplina archeologica ha avuto, soprattutto in età moderna e contemporanea, espressioni particolarmente marcate e drammatiche: da un lato nelle politiche colonialiste dei paesi occidentali, dall’altro nei regimi dittatoriali che ne hanno fatto un potente strumento di propaganda nazionalista.
Nessuno si chiami fuori. Per la verità non sono immuni da usi strumentali e identitari anche i regimi democratici. Nel corso dei conflitti bellici il patrimonio culturale ha sempre avuto un ruolo strategico: distruggere il patrimonio del nemico, per annientarne la memoria o giustificare annessioni richiamando presunte identità e radici storiche.
La stessa Convenzione del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società (Faro 2005) è stata elaborata a seguito del conflitto esploso nei Balcani negli scorsi anni Novanta: l’archeologia e la storia furono, anche in tale occasione, strumentalizzate per alimentare le narrazioni nazionaliste, utilizzando addirittura scavi e monumenti per affermare la presunta autoctonia di un gruppo etnico rispetto agli altri.
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(Foto Shutterstock)
