Archeologia Viva n. 105 – maggio/giugno 2004
pp. 88-90
Intervista di Giulia e Piero Pruneti
«La tragedia è rappresentazione di un conflitto essenziale: tra necessità e libertà»
«Tra gli orrori del nostro tempo c’è la mania per l’attualità e per l’effimero “American beauty” ha lo schema del dramma greco»
«Nell’obiettivo comico l’uomo impara a creare l’utopia ovvero che il mondo in cui vive può essere migliorato»
«Dalle vicende di Temistocle e Pausania i greci dedussero che la realtà è imprevedibile e contradditoria»
In questo numero affrontiamo il consueto appuntamento con la Storia attraverso un’angolazione particolare, quella del rapporto dell’uomo con una delle espressioni più complesse e profonde che questi ha saputo creare, il teatro.
Come altre forme di arte, il teatro, quando è grande teatro, esprime le profondità dell’individuo e al tempo stesso le motivazioni e i condizionamenti del momento storico che lo fa vivere. E così il teatro diventa specchio di civiltà nell’accezione più completa del termine. Abbiamo toccato il tema con Dario Del Corno.
Dario Del Corno insegna letteratura greca all’Università di Milano. Ha curato edizioni critiche di Menandro, Aristofane, Plutarco, Artemidoro, Filostrato e Terenzio. Ha tradotto e adattato per la messa in scena numerose opere teatrali, soprattutto in collaborazione con l’attore e regista Glauco Mauri, per la cui compagnia ha realizzato Edipo di Sofocle, Filottete di Sofocle, Re Lear di Shakespeare, Faust di Goethe, Il sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare. Per il Teatro Greco di Siracusa ha tradotto, insieme a Vincenzo Consolo, Ifigenia in Tauride di Euripide e, nel 2002, Prometeo di Eschilo, con la regia di Luca Ronconi. Per la Compagnia del Teatro Filodrammatici di Milano ha tradotto Il Ciclope di Euripide. Per la Compagnia del Teatro Popolare di Roma ha tradotto Le Troiane e Ifigenia in Aulide di Euripide. Il regista Walter Pagliaro ha messo in scena nella sua traduzione Alcesti di Euripide e Antigone di Sofocle. Dal 1987 al 1995 ha collaborato con la scuola Giorgio Strehler, tenendo lezioni di storia del teatro. È direttore della rivista di studi teatrali«Dioniso», edita dal’Istituto Nazionale del Dramma Antico.
D: In quale periodo od occasione della storia si può iniziare a parlare di espressione teatrale?
R: Per non cadere in una generalizzazione eccessiva, limiterò il discorso all’orizzonte europeo. Possiamo parlare di teatro quando nella cultura-madre della civiltà che oggi chiamiamo genericamente “occidentale”, ovvero nella cultura greca, sorgono due tipi di rappresentazione scenica sostanzialmente paralleli: la tragedia e la commedia.
Siamo a conoscenza di alcuni precedenti della tragedia, ossia i generi letterari o le manifestazioni rituali-culturali dai quali essa derivò, ma non sappiamo precisamente quando venne composta e rappresentata la prima tragedia. Possiamo tuttavia collocare la sua nascita intorno alla metà del VI sec. a.C., verosimilmente ad Atene o comunque in Attica, al tempo del tiranno Pisistrato. Poi, a partire dal 530 a.C., la tragedia venne introdotta strabilmente come parte del programma delle feste dionisiache e da qui comincia il suo cammino istituzionale. Per poter leggere una tragedia si dovrà invece attendere il 472 a.C., data dei Persiani di Eschilo, la più antica opera tragica conservata.
D: Su quale modello nasce la prima tragedia, quali sono le sue caratteristiche di base?
R: La Grecia inventa il suo teatro nell’atto in cui il personaggio di un coro o un interprete che recita un testo acquista l’identità del personaggio che in questo testo parla. L’interprete si stacca dalla sua funzione di recitante e diventa personaggio, inventa la figura dell’attore, mutando la propria identità, e trasferisce tutto ciò che sta accadendo in una realtà alternativa. La prima e fondamentale caratteristica della tragedia sta proprio in questo passaggio.
La seconda è data dal fatto che la tragedia usa, tranne quelle eccezioni che già per gli antichi sono tali, sempre materiali mitici. Rielabora cioè delle storie già raccontate, attingendo da quell’immenso serbatoio di tradizioni popolari, a volte anche occulte, che è il mito. […]