Paolo a Malta: incontro sulla via di Roma Primo cristianesimo

Archeologia Viva n. 82 – luglio/agosto 2000
pp. 48-59

di Ruggero Iorio

L’arcipelago maltese conserva una viva memoria del passaggio di Paolo di Tarso dovuto al naufragio che costrinse l’apostolo a fermarvisi per alcuni mesi
Tradizioni ai confini della leggenda si incrociano con dati archeologici e le testimonianze monumentali del primo cristianesimo

All’apostolo Paolo deve essere apparso provvidenziale quel tratto di costa rocciosa e frastagliata, dopo il naufragio occorsogli nella traversata del Mediterraneo durante il viaggio da Gerusalemme a Roma. «Una volta in salvo venimmo a sapere che l’isola si chiamava Malta»: così riferiscono gli Atti degli Apostoli (28,1) descrivendo l’approdo di Paolo di Tarso sull’isola che lo salvò dopo un violento naufragio. Da quell’incontro fortuito la tradizione maltese fa partire la sua storia cristiana. A tale approdo, anche se evidentemente forzato, si deve comunque far riferimento per individuare i dati essenziali sulle testimonianze paleocristiane dell’arcipelago maltese.

L’ultimo viaggio dell’apostolo, il “viaggio della prigionia”, fu il frutto di una scelta ben precisa: Paolo, in seguito all’arresto avvenuto nel 58 e al giudizio pronunciato a Gerusalemme tre anni dopo, essendo cittadino romano decise di appellarsi all’autorità imperiale. I fatti sono narrati chiaramente dall’evangelista Luca negli Atti degli Apostoli a partire dal capitolo 23. Durante la navigazione nell’Egeo, trovandosi a Creta, lo stesso Paolo avrebbe messo in guardia i navigatori sulle insidie del mare. All’epoca, la percorribilità navale veniva sospesa in autunno (per gli ebrei a partire dallo Yom Kippur, la ‘festa dell’espiazione’), per essere ripresa nel mese di marzo.
L’accoglienza dei naufraghi fu benevola e l’autore degli Atti non si limita a sottolineare l’aspetto ospitale degli abitanti dell’isola, ma li definisce anche barbaroi, per dire che gli indigeni maltesi non parlavano né latino né greco.

Le memorie paoline nell’arcipelago maltese (Paolo vi si fermò tre mesi: Atti 28, 11) sono disseminate un po’ ovunque ed è difficile appurarne l’autenticità.
A Malta, sulla costa a nord della baia che prende nome dall’apostolo, il Selmunett,’l’isolotto del naufragio’, è segnalato da una statua posta su un alto podio. All’interno della baia, un antico porto di epoca classica ha lasciato posto alle saline, ancora in funzione, costruite subito dopo l’arrivo dei Cavalieri dell’ordine di S. Giovanni nel XVI secolo. Infine, sul lato orientale, si ricordano le fasi iniziali del rifugio, dove la tradizione riconosce la fonte (Ghajn Razul) che dissetò Paolo e il luogo in cui avvenne, sempre secondo gli Atti, l’accensione del fuoco e il morso della vipera da cui Paolo scampò miracolosamente.

All’interno della baia di S. Paolo, in località Burmarrad (Ben Warrat), nel 1965 fu condotta una campagna di scavi diretta da Valnea Scrinari nei pressi della chiesa dedicata a S. Paolo Milqi, cioè a S. Paolo ‘incontrato’ (o ‘benvenuto’). Il luogo era sempre stato indicato come la località dove l’apostolo fu accolto in casa di Publio, governatore romano dell’isola.
Le relazioni della citata missione archeologica italiana a Malta, riportate da Michelangelo Cagiano de Azevedo, parlarono del ritrovamento di una villa rustica romana il cui uso potrebbe collocarsi tra II e I sec. a.C. Lo scavo mise in evidenza la molteplicità degli interventi nel sito, susseguitisi fino al IX secolo, periodo in cui sull’isola si trovarono contrapposti Bizantini e Arabi (nell’870 questi ultimi, partendo dalla costa dell’odierna Tunisia, occuparono in modo definitivo Malta per ragioni strategiche, finalizzate all’invasione della Sicilia).
La casa “di Publio” rivelò, un originario impianto rustico romano sul quale, tra IV e V secolo, venne edificata una prima chiesa, di cui rimangono le tracce dell’abside. Un’altra chiesa risultò essere stata eretta nel VII secolo. […]