Memorie storiche della legge 1089 Archeologia e diritto

Archeologia Viva n. 65 – settembre/ottobre 1997
p. 87

di Stefano Benini

Le vigenti leggi in materia di beni culturali affondano le radici in precedenti giuridici e di pensiero che attingono al diritto romano già sensibile al problema della difesa dei beni culturali di interesse pubblico

Trattando delle fonti del diritto dei beni culturali oggi vigente, va osservato che il complesso normativo si è formato nel tempo, dapprima nel diritto interno, ove ha trovato organica disciplina nella legge 1 giugno 1939 n. 1089, poi nell’articolo 9 della Costituzione; poi ancora nel diritto internazionale, e ora nel diritto comunitario, con trattati e convenzioni, che hanno però tuttora carattere particolare e isolato. Molti istituti regolati dalla legge 1089, quali i divieti di esportazione (che la normativa comunitaria tende oggi a ridimensionare, nel quadro, più o meno artificioso, più o meno convenzionale, di una cultura europea), si rinvengono nelle prime norme di tutela, e risalgono dunque a qualche secolo fa; come pure i divieti finalizzati a impedire manomissioni e deturpamenti. Va detto che gran parte dei provvedimenti legislativi intervengono dopo che qualche fatto (disastro naturale, interventi bellici, atti di vandalismo, alienazioni) ha depauperato quello che noi oggi indichiamo come patrimonio culturale.

In questo panorama storico si possono citare, più che altro a titolo di curiosità, alcuni istituti originari del diritto romano, di cui oggi possiamo trovare qualche traccia nella legislazione vigente, con l’avvertenza, comunque, che non è estranea al gusto e alla mentalità romana illuminata e grecizzata la preoccupazione per la tutela e l’integrità dei monumenti e la considerazione di opere di scultura e di architettura, se esposte alla visione di tutti, come destinate al pubblico servizio e al pubblico dominio.

Marco Vipsanio Agrippa (63 circa – 12 a.C.), munifico protettore di poeti e artisti, si spinse a proporre che per legge si dichiarassero appartenere all’uso pubblico tutte le opere d’arte, di chiunque fossero: «de tabulis omnibusque signis publicandi». Ma pare che questa non fosse preoccupazione propria solo di personaggi acculturati, bensì consapevolezza popolare particolarmente sentita, se è vero che, avendo lo stesso Agrippa fatto apporre davanti alle terme che portavano il suo nome un capolavoro di Lisippo ed essendosi Tiberio (14-37 d.C.) creduto nel diritto di disporne facendolo condurre nel suo palazzo, il popolo lo reclamò e l’imperatore dovette rimettere il prezioso monumento al posto di prima. […]