Emirati: viaggio oltre il petrolio Obiettivo su...

Archeologia Viva n. 54 – novembre/dicembre 1995
pp. 68-71

di Judith Lange

All’ombra rassicurante dei pozzi e dei grattacieli ultramoderni anche la ricerca archeologica sta trovando un suo spazio nei paesi fra Golfo Persico e Mare di Oman

L’iscrizione su una tavoletta sumerica del 2400 a.C. racconta che «nel porto del re Sargon di Akkad attraccarono le navi provenienti da Meluhha, da Makan e da Dilmun» cariche di «rame del Makan». È questa la prima menzione che possediamo della civiltà di Makan e di Dilmun, ripresa poi nell’epopea di Gilgamesh: si trattava di quei paesi che controllavano la via d’acqua del Golfo Persico e che avevano stretti contatti con la Mesopotamia. Con «Meluhha» probabilmente era indicata la valle dell’Indo, mentre «Dilmun» viene identificata con l’attuale isola del Bahrein nel Golfo Persico, appena distaccata dai paesi degli Emirati arabi. Invece, la civiltà dell’uomo di Makan (2400-1700 a.C. circa) si crede di poterla localizzare negli stati che oggi formano la Uae, i sette emirati arabi confederati, retti ognuno da una monarchia. Per la precisione:Abu Dhabi, Dubai, Sharjah, Ajman, Umm al Quwain, Ras al Khaimah e Fujairah. Nell’antichità questa era una regione che prosperava grazie al commercio per terra e per mare di materie prima quali marmo, ramo, diorite e pietre preziose – in particolare il lapislazzuli (dall’arabo lazuward, azzurro) – di cui si sono trovate tracce nei templi delle prime dinastie di Ur e Larsa (fra il 2200-1700 a.C. circa). Erano i paesi che controllarono per secoli le vie marittime fra l’India e la Mesopotamia ed ebbero un ruolo importante nelle relazioni fra babilonesi e assiri, parti, seleucidi, romani e sassanidi.

Le scoperte archeologiche nei Paesi del Golfo sono un fatto piuttosto recente; scavi sistematici risalgono a massimo agli ultimi dieci anni, cioè da quando gli Emirati hanno deciso di spendere qualche briciola della loro ricchezza alla ricerca delle proprie radici. È un lavoro difficile che richiede pazienza, in una regione dal clima torrido e umido, tra mare, montagne e un deserto fra i più temibili, il Rub al Khali.

Ma le testimonianze del passato antico non sono venute alla luce soltanto nelle sterminate e disabitate regioni dell’interno, bensì anche lungo la fascia costiera, fra pozzi di petrolio, raffinerie gigantesche e città imponenti, luccicanti di marmo, cromo, cristallo e plastica colorata. Spesso sono stati i bulldozer a causare le scoperte: nello sterro per una grande raffineria, a Umm al Nar, un isolotto di fronte ad Abu Dhabi, è stata ritrovata una necropoli risalente a 3000 anni a.C.; così come si sono salvate dalla cementificazione le tombe di Umm es Suqueim del 1600 a.C. e i palazzi omayyadi (VII-VIII sec d.C.) di Jumairah, alla periferia di Dubai, un importante campo di sosta sulla via carovaniera che dalla costa dell’Oman attraversava il deserto fino al Golfo Persico.

Da alcuni anni si procede con cautela nelle nuove costruzioni e gli sceicchi, sovrani dei singoli paesi, hanno messo a disposizione degli archeologi varie aree, magari destinate in un primo momento al proliferare delle ville dei quartieri residenziali che caratterizzano le periferie delle grani città. Sono stati creati appositi dipartimenti statali e comunali per l’archeologia e i musei, che collaborano con istituti e università estere.

Certo, l’avventura archeologica è appena iniziata, le indagini vanno approfondite e molti testi ancora non sono stati divulgati; tuttavia la nuova generazione di archeologi degli Emirati ha fatto passi da gigante e ormai sono regolari le pubblicazioni dei rapporti archeologici in Sharjah, Dubai e Ras al Khaimah. […]